Misericordia

Scrive Tomaso Montanari in Patrimonio Culturale:

l’arte non è mai solo la singola opera, il preteso “capolavoro assoluto”: l’arte è la relazione tra le opere. È il contesto, il vero, inarrivabile, capolavoro dell’arte italiana. Il tessuto continuo di natura e arte, figure e parole, storia e idee che ci avvolge e ci dà forma anche se non lo comprendiamo.

Non c’è niente che spieghi meglio questa frase quanto andare a Napoli, imboccare via dei Tribunali ed entrare nel Pio Monte della Misericordia per ammirare uno straordinario Caravaggio. Vederlo lì, nello stesso luogo per il quale è stato concepito, studiato, pensato, fortemente voluto. Guardarlo in relazione alle opere che lo circondano, le opere antiche e le opere contemporanee che dialogano con questo capolavoro che colpisce allo stomaco.

E poi uscire, uscire e trovarsi di fronte Napoli, nella sua via più centrale, poter sentire, nonostante l’affollamento dei turisti alla ricerca di una pizza, l’odore della strada umida, le voci un po’ sguaiate dei passanti negli antri scuri del quartiere; le mille storie, le mille disperazioni di chi non arriva a fine mese, di chi piange un morto, di chi ha un parente in carcere: sono ancora le stesse anime, più di quattrocento anni dopo, che hanno bisogno solo di un po’ di Misericordia, quella di Dio e quella che Caravaggio dona loro attraverso la sua bellezza fatta di ombre e pietà.

Caravaggio - Sette opere di Misericordia

Budapest – Emlék

 

Ogni monumento è come se pesasse di più, a Budapest, come se portasse addosso il peso dei millenni di storia, delle macerie dell’Impero, di tutti i morti di un Novecento ingiusto e crudele.

In Piazza degli Eroi c’è il volto aspro di Arpad, il conquistatore che nel 1989 ha visto sfilare sotto i suoi occhi migliaia di ungherese mai domati; sul Danubio ci sono quelle scarpe, fiori di piombo per ricordare chi non ha conosciuto nemmeno la pietà di una fossa comune, ma solo acque nere. Sono così tanti i morti per mano delle Croci Frecciate che nemmeno l’enorme albero di metallo nel cortile della Sinagoga riesce a dare a tutti una foglia per testimoniare che hanno vissuto.

Il Parlamento è un gioiello che illumina il Danubio, ma ci sono delle sfere sul muro del palazzo dall’altra parte della piazza, i proiettili sparati il 25 ottobre: a Kossuth Tér quel giorno la rivoluzione era ancora possibile. Nel memoriale sotterraneo c’è una bandiera ungherese con un buco nel mezzo, solo dopo ho capito che stava a significare la falce e martello strappata via dal simbolo della nazione, strappata una volta e, nonostante tutto, strappata per sempre. Se giri l’angolo invece c’è un ponte che i turisti attraversano anche se non porta da nessuna parte: sopra c’è Imre Nagy, lo sguardo perso, le mani conserte: un padre della patria triste, sembra pensi ai suoi errori, sembra ancora chiedersi perché.

Non c’è solo il ricordo nei monumenti di Budapest: ogni statua è come se gridasse il suo passato e più forte il suo futuro. Nei pochi metri intorno a Szabadság Tér incontri la Storia di ieri che si fa pietra e carne oggi; mentre la statua in onore del presidente americano Reagan passeggia accanto ai turisti, l’ultimo monumento sovietico è presidiato da individui che mostrano un inequivocabile striscione: “demolish it”. E poi ancora il memoriale per le vittime dell’occupazione nazista, un brutto monumento oggetto di una feroce e straziante opera di ricostruzione della memoria da parte dei sopravvissuti che ogni giorno aggiungono un cimelio, un sasso, una scarpa, una sedia, aggiunge un ricordo vero e vivo a una celebrazione falsa.

La cosa più bella è che la scultura è il linguaggio scelto da questa città anche per celebrare la vita, la letteratura, la fantasia in un intreccio malinconico e dolcissimo tra una Piccola Principessa, i cinque ragazzi della Via Pal e – addirittura – il tenente Colombo che ricambia il tuo sguardo perplesso nel vederlo apparire lì, al termine di una bella strada alberata.

Budapest sembra pagare ancora il suo passato e la strada per la ricostruzione di un popolo è più lunga e faticosa di quanto io possa anche solo immaginare, ma non è male sapere che ci sono muti occhi di bronzo a vegliare sui suoi abitanti.

 

 

 

 

Cedere alle tentazioni

Quella della lista e dei libri, intendo. E non potevo lasciarla lì, sola e triste, su Facebook, quindi la metto ancora più sola e più triste su un blog morto (con una variazione finale).

In realtà non ho capito se i libri devono avermi cambiato la vita o devono solo essere libri che mi sono piaciuti, quindi facciamo che ci metto un po’ di libri che hanno determinato dei cambiamenti di vario genere, libri che hanno segnato un periodo della mia vita e un po’ di libri che mi sono piaciuti e basta. In ordine casualissimo, ma con foglietto illustrativo.

  1. Infinite Jest – David Foster Wallace
    [come una sineddoche: un libro per il tutto il DFW che devo ancora scoprire, per la fatica e l’attenzione che richiede prima di schiudersi come un fiore bellissimo e terribile, per il dolore, perché è uno scrittore che riesce a toccarti fino ad un punto che non credevi nemmeno di possedere]
  2. Il teatro di Sabbath – Philip Roth
    [perché alla fine le cose importanti sono proprio quelle lì: l’amore, il sesso, i tuoi ricordi, l’orologio di tuo fratello e staranno con te per sempre]
  3. La separazione del maschio – Francesco Piccolo
    [perché non c’è un solo modo di amare]
  4. La ballata delle prugne secche – Pulsatilla
    [sì, e lo rivendico con orgoglio: perché se non avessi letto il suo libro non avrei conosciuto Splinder e non avrei aperto un blog che potevo anche risparmiarmi ok, ma non avrei mai conosciuto la metà di tutti gli amici che ho oggi, non avrei trovato un certo tipo di lavoro, non vivrei dove vivo. E se non mi ha cambiato la vita questo libro, non so quale altro]
  5. Cuore – Edmondo de Amicis
    [perché come dice Cundari “Questi sono i libri veramente importanti: quelli su cui hai praticamente imparato a leggere, in un tempo in cui leggere un libro richiedeva uno sforzo oggi inimmaginabile”]
  6. Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
    [perché forse è stato il primo approccio con la grande letteratura, il momento in cui quello che studiavo al liceo in quegli anni si è mostrato in tutta la sua grandezza e universalità]
  7. La casa degli Spiriti – Isabel Allende
    [perché la narrazione, il Sudamerica, perché se non ti fai portare via dalle storie così a 16 anni, non lo fai più]
  8. Le Benevole – Jonathan Littell
    [Per ricordarci cos’è l’oscurità che c’è dentro di noi. “Ma il disumano, scusate, non esiste. C’è solo l’umano e poi ancora l’umano”]
  9. Compagno di Sbronze – Charles Bukowski
    [Perché i libri della mia adolescenza me li sono guadagnati tutti con un grande sforzo di curiosità: ricordo ancora quando l’ho visto in libreria e ho deciso di comprarlo, senza sapere nemmeno chi fosse.]
  10. Furore – John Steinbeck
    [Perché ha la potenza della Bibbia e insomma: quella l’ha scritta Dio, mica poco]

10/b. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore – Raymond Carver
[Perché le parole hanno un valore]

Lo vedi? Ti sorrido

La cosa più straziante nella Traviata rimarranno sempre, per me, quei pochi versi prima. Prima dell’amami Alfredo, prima del morir sì giovane, prima del canto di amore o di morte, mi spezzeranno sempre il cuore quelle poche parole di una Violetta abituata alla finzione, a non chiedere nulla, a mentire facilmente per protezione e illusione. “Di lagrime avea d’uopo”, ora sto bene, sono tranquilla, avevo solo bisogno di piangere, sai, e la musica sale, sale, non è nulla, veramente, sto bene, e poi guardami – la prova inconfutabile e lacerante – la musica e la voce salgono ancora, ancora, “Lo vedi? Ti sorrido! Ti sorrido!”

Lo stesso sorriso, lo vedi?, prima di morire.

Pensavo

Forse diventare adulti vuol dire veder corrodere a poco a poco lo spazio di condivisione emotiva che possiamo permetterci.